Camminando per via San Biagio dei Librai, una delle arterie pittoresche di Spaccanapoli, nei pressi dell'incrocio con via San Gregorio Armeno si apre il cortile dell'antico palazzo di Girolamo Carafa dei Duchi d'Andria, ricostruito tra il 1597 e il 1605 come Palazzo del Monte di Pietà, sul progetto di Giovan Battista Cavagna. La storia del Monte di Pietà si identifica con le radici del Banco di Napoli: il banco fu istituito a scopo benefico da un gruppo di nobili napoletani, nel clima della Controriforma, con l'intento principale di elargire prestiti senza interesse, contrastando il fenomeno dilagante dell'usura. Un'autentica cintura di salvataggio per le masse di poveri e diseredati che finivano inevitabilmente nelle reti degli strozzini. Oltre al restauro di Palazzo Carafa, Al Cavagna fu affidato anche il progetto della Cappella del Monte, la cui facciata rinascimentale è incastonata in fondo alla corte. Quattro lesene con capitelli ionici, sormontate dal classico timpano triangolare, dividono il semplice prospetto in tre zone: al centro si apre un grande portale, ai lati due nicchie ospitano altrettante statue di Pietro Bernini: la Carità e la Sicurtà. All'interno, nella splendida cappella e in tre sale del piano terreno, un tempo destinate alle aste degli oggetti lasciati in pegno, è stato allestito dal 1999 il Museo del Monte di Pietà: un concentrato di piccoli e grandi capolavori che comprende, oltre alle ricchissime decorazioni originali della cappella stessa (autentico gioiello in stile tardo-manierista), arredi, oggetti sacri e dipinti della grande collezione del Banco di Napoli. L'unica navata che costituisce l'interno del tempio presenta una raffinata pavimentazione in cotto e maiolica, mentre la volta a botte è affrescata con il ciclo dei Misteri della Passione, dipinto da Belisario Corenzio fra il 1601 e il 1603. Stucchi dorati dividono le varie scene del ciclo. Ai primi del Seicento risalgono anche i dipinti che ornano gli altari: la Deposizione di Fabrizio Santafede sul maggiore, l'Assunzione di Ippolito Borghese sul destro e la Resurrezione di Geronimo Imparato sul sinistro. Dalla cappella si passa nell'antisacrestia, per ammirare il monumento marmoreo del cardinale Ottavio Acquaviva, opera giovanile di Cosimo Fanzago. Lo scultore e architetto lombardo lasciò poi la sua impronta nelle decorazioni di molte fra le più suggestive chiese barocche di Napoli. Nella sacrestia settecentesca, fra gli affreschi a tema allegorico delle pareti, le decorazioni dorate e gli armadi in noce intagliati, spicca nel soffitto la tela raffigurante la Carità di Giuseppe Bonito (1742). Altrettanto suggestiva appare la successiva Sala delle Cantoniere, così definita per le quattro superbe angoliere in legno dorato che si inseriscono perfettamente nell'illusionismo pittorico degli affreschi sulle pareti. Qui sono effigiati Carlo di Borbone e la moglie Maria Amalia di Sassonia. Splendido, al centro, il gruppo in legno policromo con la scena della Pietà, opera settecentesca di un ignoto maestro castigliano. Negli ambienti che seguono è ospitato il museo vero e proprio, anch'esso arricchito da un apparato decorativo che risplende grazie all'accuratissimo restauro. La prima sala, affrescata nella volta dal Corinzio con l'Allegoria dell'Agricoltura, custodisce nelle teche murali paramenti e oggetti sacri, fra i quali una singolare serie di “frasche” in carta e corallini di vetro, o in lamina di rame dorata, sbalzata e rifinita a cesello. Le frasche, realizzate sul finire del Settecento, servivano a ornare gli altari della cappella in occasione delle festività. Notevoli anche i
dipinti che raffigurano il Salvatore (di Francesco di Maria) e San Gennaro (di Nicola Menzele). Il soffitto della seconda sala presenta l'Allegoria della Fecondità, attribuita a Belisario Corinzio e a Giovanni Battista Caracciolo, altro protagonista della pittura napoletana del XVII secolo e fautore del “nuovo stile” sintetizzato da Caravaggio. Molti gli oggetti di pregio qui conservati: argenti, paramenti d'altare in legno intagliato, calici, ostensori. Spiccano una lampada pensile forgiata nell'Ottocento da un argentiere partenopeo, con le rappresentazioni delle quattro virtù cardinali, due tele di Bernardo Cavallino (la Morte di san Giuseppe e il Cristo e l'adultera) e una di Domenico Fiasella (Sansone e Dalila). Riccamente affrescata è anche la terza sala, caratterizzata dalla rappresentazione allegorica della Sapienza. Nelle teche trovano posto meravigliosi ricami legati alle celebrazioni liturgiche, a testimonianza del livello d'eccellenza raggiunto dagli artigiani locali fra XVIII e XIX secolo. Piccoli capolavori come piviali, stole, veli da calice e paliotti d'altare in seta, tutti ricamati in argento legato a spina e oro filato. Da segnalare, infine, anche due dipinti di autore ignoto: un San Girolamo del Settecento e un San Sebastiano seicentesco, di scuola napoletana.