Kephaloidion (in greco “testa”, “promontorio”) e Gafludi (in arabo “città fortificata”) sono gli antichi nomi di Cefalù, la cittadina marinara sorta all'ombra di un promontorio roccioso sulla costa tirrenica siciliana, a est di Palermo. Ma le sue origini restano incerte. Infatti, se alcune tracce del passato più remoto si identificano con i resti di mura megalitiche (datate V secolo a.C.) o con il “Tempio di Diana”, l'edificio aggrappato alle pendici della rupe (la Rocca), l'assetto del borgo e la sua rete viaria sono, in gran parte, quelli tracciati dai Normanni. Sotto la loro dominazione, quasi nove secoli fa, Cefalù fu praticamente ricostruita e conobbe il suo massimo splendore. Respirare il clima più genuino del borgo, sospeso fra storia antica e Medioevo, può non essere facile in estate, quando Cefalù viene gremita da migliaia di turisti inevitabilmente attratti dal fascino dei luoghi. In bassa stagione, al contrario, il lungomare offre una “passeggiata nel mito” alimentata dal fascino della cortina megalitica che si estende da Porta Giudecca, recuperata e trasformata in museo archeologico a cielo aperto. Parte delle mura di Kephaloidion è stata inglobata molti secoli dopo, durante la costruzione di edifici come la chiesa barocca di Santa Maria della Catena, in Piazza Garibaldi. Dalla piazza si imbocca Corso Ruggero, il decumano massimo del borgo dal tempo dei Romani. Il corso divide Cefalù in due zone nettamente distinte: a est si apre un rione scandito da strade regolari e incroci a perpendicolo (forse quello abitato un tempo dai nobili); a ovest, un suggestivo intrico di vicoli che sembrano faticare a guadagnarsi un passaggio fra le case, sgusciando fra archetti, cortili e scalinate. È questo il cuore antico e fascinoso del borgo, che da solo giustifica l'inclusione di Cefalù fra i cento Borghi più belli d'Italia. Qua e la si individuano tracce di strutture medievali. All'angolo fra Corso Ruggero e Via Amendola, ad esempio, una raffinatissima trifora, all'ultimo piano di una torre quadrangolare, è quanto resta dell'Osterio Magno, palazzo duecentesco dei conti Ventimiglia. Poco più avanti, imboccando un'altra traversa del corso (via Vittorio Emanuele) si scopre un lavatoio medievale interamente scavato nella roccia, utilizzato anche in tempi recenti dalla popolazione. Qui emergono le acque del fiume Cefalino, che raggiunge il mare dopo un lungo percorso sotterraneo. Nella parallela via Mandralisca non si può fare a meno di visitare il Museo intitolato al barone Enrico Piraino di Mandralisca, un collezionista di opere d'arte che donò alla città la sua raccolta di opere d'arte e testi antichi. Fiore all'occhiello del museo è il celebre Ritratto d'ignoto di Antonello da Messina: un rompicapo per gli storici che da secoli si confrontano con il sorriso ironico del personaggio effigiato, cercando di ricostruirne l'identità. Ma il museo comprende anche un'importante raccolta di reperti archeologici (fra questi un pregevole cratere del IV secolo a.C. che raffigura un venditore di tonno) e una vastissima collezione di conchiglie. Proseguendo su Corso Ruggero in direzione del mare si passa accanto alla chiesa del Purgatorio, forse l'edificio barocco più importante di Cefalù, con un bel portale preceduto da una scalinata a tenaglia. Infine si raggiunge Piazza Duomo, delimitata dai prospetti di eleganti dimore signorili e del Palazzo Vescovile. Ma l'occhio è naturalmente attratto dalla mole della Cattedrale, imponente e maestosa, che costituisce il più prezioso tesoro architettonico di Cefalù, nonché una delle più importanti testimonianze dell'arte normanna in Sicilia. L'edificio in pietra dorata (lo stesso colore della roccia del promontorio), incassato fra due torri e l'alta abside, fu costruito nell'arco di un secolo a partire dal 1131, per volere di re Ruggero II. Pare fosse il frutto di un voto per un naufragio scampato. Il portico che si apre al livello inferiore della facciata è un'opera rinascimentale dell'architetto Ambrogio da Como. Più in alto si nota la decorazione originaria ad archi incrociati, sormontata da una serie di archetti ciechi. Austero e solenne l'aspetto delle torri poste ai lati, ingentilite da monofore e bifore. La “Porta dei Re” al centro del portico era l'antico ingresso al Duomo. Oggi vi si accede dal lato destro della chiesa. All'interno si è conquistati dallo splendore dei mosaici, in cui spiccano l'oro dei fondali e il verde smeraldo come tonalità dominante. Percorrendo la navata centrale, delimitata da colonne con capitelli raffinati, anch'essi d'impronta normanna, ci si avvicina all'immagine centrale dell'intero complesso iconografico: la classica figura del Cristo Pantocratore, che occupa il catino absidale. Più in basso e ai lati, altri mosaici della stessa epoca rappresentano la Vergine, gli arcangeli, gli apostoli. Da ammirare anche la croce ligne
a sospesa nell'abside, il trono reale in marmo e mosaici, un fonte battesimale romanico e, fuori dal tempio, il chiostro scandito da colonne binate con capitelli scolpiti. Terminata la visita in centro, vale la pena di affrontare la salita della Rocca, al riparo delle antiche mura merlate, per un colpo d'occhio che abbraccia la costa da Palermo a Capo d'Orlando, con le Eolie a filo d'orizzonte. La sommità del promontorio è il luogo dell'insediamento più antico (forse fenicio), ma qui si incontrano testimonianze di civiltà diverse. Attorno al misterioso Tempio di Diana si notano i resti di cisterne, abitazioni private, chiesette e perfino di un castello. Con una breve escursione fra i rilievi dell'entroterra, nel Parco delle Madonie, si può anche raggiungere il Santuario di Gibilmanna. Le due torri campanarie emergono da un bosco di querce e castagni a 800 metri d'altitudine. L'antico cenobio benedettino è affidato dal Cinquecento alle cure dei frati Cappuccini, e racchiude innumerevoli testimonianze di valore artistico e storico.